Che Paese straordinario il nostro.
Per storia, per cultura, per bellezze geografiche, per l’arte, per il clima, per l’enogastronomia, per le eccellenze in alcuni settori (design, moda), per i motori, per citare solo alcune delle cose che ci contraddistinguono. E che forse non siamo in grado di valorizzare sino in fondo. Tutti aspetti che richiamano milioni di turisti (basta fare due passi nel centro di Milano per rendersene conto), ma anche, nonostante spesso ce la mettiamo tutta per allontanarli, investitori internazionali che ci considerano molto “attractive”.
Ma la nostra “straordinarietà” emerge anche da altre considerazioni, questa volta non proprio così positive (altrimenti che italiani saremmo…).
In un vecchio film di Roberto Benigni (Johnny Stecchino, 1991), uno dei protagonisti ad un certo punto, riferendosi alla sua città (Palermo) e ai problemi che la affliggono, afferma: “Qui a Palermo abbiamo un grande problema: il traffico”.
Parafrasando una delle scene che hanno reso famoso il film, si potrebbe dire che “il” problema dell’Italia è il debito pubblico. Ed in effetti è così, se tutti (Agenzie di rating, investitori, organismi internazionali) non perdono occasione di evidenziare come quello sia il “macigno” che schiaccia il nostro Paese e soffoca la nostra crescita.
Ma forse il vero problema sta da un’altra parte.
Da uno studio presentato ieri al Senato da Itinerari previdenziali, emerge che il 15,3% dei contribuenti (coloro che superano i 35.000€ di reddito loro, cioè circa 6,4 ML di persone) sostiene, di fatto, i conti, pagando il 63,4% dell’imposta. Di contro abbiamo 26,3 ML di individui (circa il 45% della popolazione) che, almeno ufficialmente, non ha alcun reddito e altri 13 milioni (il 22% della popolazione) presentano dichiarazioni talmente risibili per cui non hanno praticamente alcuna imposizione fiscale o godono di detrazioni e deduzioni che, alla fine, consentono di recuperare qualsiasi onere fiscale. Ne consegue che solo il 24,2% della popolazione non risulta “a carico” degli altri.
Ma “l’essere straordinari” diventa ancora più evidente analizzando il nostro “essere comunità” da un altro punto di vista.
Secondo un altro rapporto (questa volta di Acri-Ipsos) quasi la metà delle famiglie italiane riesce a risparmiare (il 46%), e lo fa con minori ansie rispetto al passato. Il 33% degli italiani, però, percepisce di avere, rispetto alle generazioni precedenti, maggiori difficoltà, a seguito di condizioni di vita ritenute peggiori (una voce importante, per es, è quella dell’inflazione, ma anche gli stili di vita che sono cambiati). Circa 2/3 degli individui, peraltro, preferisce la “disponibilità immediata”, che solo la liquidità di cc può dare, agli investimenti veri e propri, perdendo, quindi, opportunità di guadagno o, banalmente, accettando la perdita di valore del denaro che deriva dall’inflazione.
Il 49% delle famiglie ritiene di aver migliorato il proprio tenore di vita o, per lo meno, di riuscire a garantirlo con minori difficoltà rispetto al passato (era il 44% nel 2018).
Oltre il 64% delle persone è soddisfatto della propria situazione economica (anche qui in netto miglioramento rispetto al 56% del 2018). Il numero degli individui che vivono nella soglia della povertà assoluta si è attestato a 5,7 ML (quindi circa 1 italiano su 10): persone che hanno ormai dato fondo a ogni risparmio, se mai lo hanno avuto, e che non hanno la possibilità di ridurre più nulla (la cosa forse più preoccupante è che questa situazione comprende non solo persone che non lavorano, ma anche chi un lavoro ce l’ha).
“Una società di poveri benestanti”. Forse nessuna definizione rende meglio l’idea di questa, coniata da Alberto Brambilla, Presidente del Centro studi e ricerche di Itinerari Presidenziali.
Eppure siamo tra i principali utilizzatori al mondo di internet e di pay-tv, tra i maggiori possessori di smartphone, abbiamo case che il mondo intero ci invidia, per non parlare del parco macchine. Tutti “indici” che denotano una qualità di vita non proprio da “poveri benestanti”, ma da benestanti veri e propri.
Ma non, evidentemente, per il fisco.
E se non è straordinarietà questa, come potremmo definirla?
Ormai non fanno più notizia i record di Wall Street.
Ieri sera, nonostante la chiusura negativa del Dow Jones, lo S&P 500 è salito dello 0,16%, ritoccando nuovamente i massimi. Meglio ha fatto il Nasdaq, che ha chiuso a + 0,98%.
Terzo rialzo consecutivo, questa mattina, per la borsa giapponese, con il Nikkei che chiude intorno al + 1% (+ 0,96).
Non bene le borse Great China: Shanghai, per quanto stia recuperando rispetto all’apertura, perde lo 0,61%, mentre peggio va a Hong Kong, dove l’Hang Seng scende dell’1,62%.
In calo anche gli altri indici asiatici: a Seul Kospi – 0,8%, Sensex Mumbai – 0,3% in apertura, Taiex Taiwan – 0,46%.
Questa mattina futures USA ancora in rialzo (Dow + 0,15%, Nasdaq + 0,29%), mentre soffre (relativamente) l’Europa (Eurostoxx – 0,28%).
In cerca di stabilità il petrolio, con il WTI a $ 67,83 (+ 0,82%).
Gas naturale Usa + 0,80% ($ 2.887).
Nuovo record per l’oro, che questa mattina arriva a toccare i $ 2.800 (2.800,60, + 0,61%), vetta mai raggiunta sin’ora.
Spread in rialzo (123 bp).
BTP al 3,56%.
Bund 2,33%.
Si ferma, per ora, l’ascesa del rendimento del Treasury, che questa mattina passa a 4,24% (dal 4,27% della chiusura di ieri).
€/$ a 1,082.
Bitcoin a $ 73.290: su questi valori capitalizza qualcosa come $ 1.450 MD.
Ps: domenica, come noto, si sono svolte le Regionali in Liguria, con un’affluenza al voto tra le più basse che si ricordino: ai seggi, infatti, si è recato neanche il 46% degli aventi diritto.
Lo stesso giorno, in Val di Sole, in Trentino, si è svolto, invece, un referendum per decidere se gli orsi e i lupi siano animali pericolosi e quindi se possono essere abbattuti. A votare, per questa occasione, è andato oltre il 63% delle persone, che per il 98% si è dichiarato favorevole all’abbattimento. Altro che maggioranza “bulgara”. Peraltro, nulla cambia a livello giuridico, essendo orsi e lupi specie protette. La domanda è: ma se non decide nulla, perché farlo il referendum….?